Apprendiamo dagli organi di stampa che l’amministrazione Capalbo, dopo essere uscita finalmente dal letargo, ha deciso di presentare una proposta per il rilancio dell’ospedale “Beato Angelo” di Acri. Forse il nostro Sant’Angelo ha aperto qualche mente oppure, più precisamente, il nostro lavoro di questi anni come associazione, nata a difesa dell’ospedale cittadino, ha avuto finalmente un riconoscimento. La proposta presentata dall’Amministrazione prevede la richiesta di una struttura di ospedale generale per come previsto dalle norme attualmente vigenti, ed in seconda opzione si punta sull’ospedale generale riunito con san Giovanni in Fiore. Proposta che ricalca integralmente quella che abbiamo presentato 6 anni fa all’allora amministrazione Tenuta e nel 2017 alla neo insediata amministrazione Capalbo, ma anche a tutti gli organi sanitari provinciali e regionali. L’ex assessore Le Pera, vicino alle nostre posizioni, aveva chiesto di discutere la nostra proposta, cosa poi avvenuta nella 3a commissione comunale sanità a giugno dello scorso anno, ma poi probabilmente defenestrato forse proprio per questo. Da allora non c’è un assessore alla sanità, almeno ufficialmente. La nostra ipotesi di progetto, che alleghiamo, è stata sottoposta anche in questi giorni all’attenzione di politici regionali e nazionali. Essa prevede l’istituzione di una nuova tipologia di ospedale “Spoke di montagna”, insieme a San Giovanni in Fiore, sul modello di ospedale generale con autonomia gestionale ed organizzativa, con reparti annessi nei due presìdi. In questi anni l’ospedale acrese ha subito scelte illogiche, tra le quali: la chiusura di reparti come la psichiatria, l’ostetricia e ginecologia con annesso punto nascita, chiusura di alcune branche specialistiche, spostamento del laboratorio analisi al primo piano del vecchio padiglione, lo spostamento del poliambulatorio, la chiusura del reparto di Chirurgia (al posto del quale sono previsti solo prestazioni chirurgiche ambulatoriali), e dell’ambulatorio oncologico. Adesso, in piena pandemia, è stato realizzato un reparto Covid con 20 posti letto, al quale se ne doveva affiancare un altro di 16 posti letto, richiesto a fine marzo, con la conversione del reparto di Medicina, progetto poi bloccato. Tutto lo sforzo sembra ormai rivolto al Covid, che viene affrontato sguarnendo altri reparti e servizi ospedalieri per spostare il già ridotto personale presso il reparto che una volta era la Chirurgia, come se le altre patologie nel frattempo fossero scomparse. Il personale sanitario insufficiente, rimaneggiato, in conseguenza delle unità andate in quiescenza, e non sostituite, il quale è sottoposto a turni massacranti. A testimonianza del fatto che Acri è abbandonato al proprio destino è il caso del reparto di Medicina, unica struttura complessa presente nel nostro ospedale, per la quale non è stato ancora espletato il concorso per il primario, come previsto dagli atti aziendali. Questi sono i risultati prodotti da una classe politica inadeguata, commissari inetti, dirigenti sanitari provinciali e regionali incapaci, affaristi che si sono mangiati il sistema sanitario regionale sperperando soldi pubblici accreditando strutture private, molto spesso legate in qualche modo a politici regionali. La popolazione ormai allo stremo subisce, ancora la zona rossa, con servizi ospedalieri ridotti al minimo, servizi sanitari territoriali praticamente inesistenti, esempio lampante delle USCA mai decollate. Intanto l’altra faccia della pandemia è la crisi economica in atto i cui effetti nefasti si vedranno nel prossimo futuro. Vogliamo terminare dicendo che noi non siamo oppositori o in contrapposizione con nessuno, vogliamo solo che i cittadini acresi, nonché quelli delle zone limitrofe, trovino una offerta sanitaria degna per potersi curare nel proprio territorio. Per questo facciamo un ulteriore appello a tutte quelle forze politiche e associative per fare squadra comune, al fine di avere una sanità adeguata alle esigenze, e che sia di rilancio per i nostri territori disagiati come lo è il nostro, proponendo di adottare azioni congiunte e condivise, perché la salute è un bene comune.